di Lucrezia Rubini
foto Francesca Culpo
L’arte è un linguaggio universale, globale, trasversale, interculturale, umanistico, pacifico.
Qualcosa di straordinario, che ne ha dimostrato tutte queste dimensioni, è accaduto nei giorni dal 14 al 16 aprile 2025 a Roma, sulla Terrazza del Pincio di Villa Borghese, con la “Bottega d’arte”, ideata dall’associazione Madonnari Rodomonte Gonzaga APS (Rivarolo Mantovano), nell’ambito di “Open doors”, un’iniziativa della Fondazione Migrantes, della Conferenza Episcopale Italiana, e realizzata in collaborazione con Earth Day ed Emotion to Generate Change, col Patrocinio del Comune di Roma Capitale.
Quarantadue artisti hanno prodotto trenta opere, realizzate singolarmente o collettivamente, ed hanno espresso, attraverso l’arte, l’incontro tra culture e fedi di tutto il mondo. Le opere, montate su cavalletto, oppure poggiate su pavimento, sono state realizzate work in progress, sotto gli occhi dei passanti meravigliati, incuriositi, che hanno chiesto spiegazioni agli artisti stessi, che si sono fatti mediatori dei messaggi, talvolta complessi e di ampio respiro, di cui sono scrigno le loro opere. Le diverse religioni, buddista, musulmana, induista, cattolica cristiana ed ebraica, si sono confrontate in un linguaggio interculturale e universale, che ha trovato nell’arte il medium, capace di cogliere il senso della spiritualità che le accomuna tutte.
Il gruppo delle artiste islamiche con Lucrezia Rubini
Gli artisti, provenienti da tutta l’Italia, hanno usato le tecniche più svariate, talvolta antiche: il gruppo cattolico cristiano di San Biagio a Subiaco (RM) ha usato le tempere all’uovo per realizzare le icone (I discepoli di Emmaus); i Madonnari dell’Associazione Madonnari Rodomonte Gonzaga hanno usato i gessetti (La Presentazione al Tempio: San Simeone il vecchio di Vanna Lodi Pausini); gli Infioratori di Rocca Santo Stefano (RM) hanno usato i petali di fiori (Dialogo per la Pace); chi ha usato il mosaico (Pause e silenzi di Caterina Goi), chi la foglia d’oro (The Golden Avatar di Enzo Barchi), fino ad arrivare ai polimaterici e all’assemblaggio di ready made, del “Bagaglio del pellegrino” di Marcello Silvestri. Qui Silvestri ha usato i titoli di viaggio dei turisti (biglietti dei mezzi pubblici metro e bus) e gli strumenti del cammino del pellegrino (il bastone e la conchiglia): mentre il turista cerca la meraviglia e ritorna pieno di emozioni disordinate e consensi velleitari sui social, il pellegrino cerca sé stesso attraverso l’Altro, e torna arricchito interiormente e spiritualmente, con una propriocezione profonda, riflessiva, silenziosa.
Caterina Goi, Pause e silenzi
Anche gli stili sono stati diversi e originali, come nel caso della “Frammentazione” usata da Patrizio Landolfi (in arte Pandu), i cui tasselli di colori scheggiati, mi ricordano i trencadìs di Gaudì, qui usati per realizzare il dipinto Oh Maha -Mantra, a rappresentare l’induismo Hare-Krishna.
Concetti complessi sono stati rappresentati simbolicamente mediante opere realizzate collettivamente e talvolta effimere, come nel caso del “Mantra della Purificazione” realizzato da membri del Dharma Art Academy, Istituto Lama Tzong Khapa (Pomaia-Pisa). L’opera raffigura il mantra dalle cento sillabe di Vajrasattva, dipinte su una tavola, come un mandala. La sillaba al centro rappresenta Vajrasattva stesso, le cui pratiche sono comuni a tutte le quattro scuole del Buddhismo tibetano, mentre si ritiene che il suo mantra abbia la capacità di purificare il karma, portare la pace e provocare l’attività illuminata.
La percezione di quest’opera, come di altre, trasmette un senso di pace profonda e calma, che pervade la nostra psiche, a prescindere dai simboli specifici della religione a cui si riferiscono, che sono incomprensibili, per chi non le conosce. Tutte le opere esposte, infatti, fanno appello alla dimensione dell’intuito e fanno riferimento a concetti universali e atemporali, come la pace, per cui, tramite l’espressione artistica, se ne possono percepire le dimensioni più profonde, che abitano l’animo umano, in quanto umano.
L’opera Dialogo per la Pace potrebbe essere usata come logo dell’evento, in quanto ha sommato in sé tutti i simboli delle religioni presenti: la Colomba della Pace del Cristianesimo, la Stella di David dell’Ebraismo, la Ka’ba dell’Islamismo e la sacra sillaba OM dell’Induismo.
Talvolta, passi delle sacre scritture sono stati reinterpretati con un’impostazione compositiva del tutto moderna. È il caso della Pietas di Francesca Culpo, che per esprimere il sentimento antico e sempre attuale della pietas, intesa come capacità di comprensione e condivisione del patire individuale e dell’umanità tutta, ha rielaborato volti ripresi da riviste e notiziari, in tal modo superando il racconto specifico religioso e aprendo a mondi atemporali: in quell’atteggiamento di contrizione e isolamento, di Gesù Cristo, ognuno può riconoscersi.
da sinistra: I Discepoli di Emmaus di Studio di iconografia Nazareth di San Biagio, Subiaco (RM), La presentazione al tempio di San Simeone di Vanna Lodi Pausini, e The golden Avatar di Enzo Barchi
Del tutto inedita e moderna, è l’interpretazione delle “Nozze di Cana” di Emma Rossi. L’impostazione compositiva, quasi fumettistica, spinge in primissimo piano l’immagine di un bevitore, declinando la narrazione biblica sugli effetti del miracolo, e relegando in secondo piano la figura di Cristo, raffigurato presso degli orci di vino, quasi fosse un umile servitore.
La terribile attualità delle profezie avverate è mostrata dalla “Speranza profetica”, di Giulia Tanzi, che come un moderno reporter, raffigura la distruzione attuale della città di Babilonia (da Isaia 13:20), di contro al suo antico splendore: eppure, dall’interno dell’antica porta, emerge lo splendore di una luce di Speranza. La saggezza e l’attualità delle visioni degli antichi profeti, ne fanno uomini dell’oggi, capaci di valutare i nostri tempi, con considerazioni che ne farebbero degli acuti e critici opinionisti televisivi.
Ne “Il miracolo del mare aperto”, Mariam Gourram, islamica, si è ispirata ad un brano del Corano (26:62), ma il protagonista dell’evento miracoloso, Mosè, è una figura fondamentale dell’Ebraismo, del Cristianesimo, dell’Islam, del Brahaismo, del Rastafarianesimo e di molte altre religioni, a dimostrazione dell’universalità e atemporalità di valori interreligiosi, quali, in questo caso, la liberazione dalla schiavitù, dall’oppressione, dall’ingiustizia e dalla paura.
Mariam Gourram Il miracolo del mare aperto
Ancora, Mons. Pierpaolo Fenicolo direttore generale della Fondazione Migrantes, ha messo in evidenza la condivisione e la comunione di tutti gli artisti, appartenenti a professioni religiose diverse, che si “passavano il pennello” l’un l’altro, sintetizzando in questa immagine, proprio la funzione di medium svolta dall’arte, capace di unire tutti gli uomini.
Infioratori Rocca Santo Stefano, Dialogo per la Pace
Si è trattato di un’esperienza straordinaria, direi unica, a me non era mai capitato di partecipare come critico d’arte - questo è stato il ruolo in cui sono stata coinvolta da Marco Soana, il Presidente dell’Associazione Madonnari Rodoante Gonzaga - ad un laboratorio d’arte, che è approdato ad una mostra, costituita dalle opere realizzate nei tre giorni dell’evento. La cosa più bella è stato il confronto, l’arricchimento reciproco derivante dall’ascolto, da parte di ognuno, delle idee, del sistema filosofico degli altri: ognuno si è aperto a tutti gli altri, senza nessuna competizione. Spesso gli artisti si sono confrontati anche sul piano più strettamente tecnico, per l’uso dei materiali, e ciò ha qualificato l’esperienza non solo come “bottega”, ma anche come “scuola” e “laboratorio sperimentale”. In quei tre giorni abbiamo condiviso l’alloggio, il mangiare, il convivere e il lavorare fianco a fianco, esprimendo così la comunità nella diversità, proprio come recita lo slogan della locandina diffusa: “Umanità unita nella diversità”.
Francesca Culpo, Pietas
Dunque patrimoni immateriali diversi, eppure uniti dallo stesso “sentire” umano: tale sentire universale e individuale, nell’arte, è approdata a quello che si delinea come un Nuovo Umanesimo. Questo è il pensiero condiviso anche con Marco Soana: “il pensiero di un mondo globale senza confini per noi è normale, ma visto che i confini restringono queste cose, l’arte è un mezzo pacifico per unirci” ovvero, ha aggiunto, “l’arte incarna pienamente l’umanesimo, diffondendo intorno a sé un’aura di serenità, pienezza interiore e libertà”.
Emma Rossi Le nozze di Cana e Speranza profetica di Giulia Tanzi
A mio modo di vedere è stato proprio in nome dell’arte, grazie all’arte e tramite il medium dell’arte, che tutte le diverse spiritualità hanno espresso proprio ciò che si manifesta in essa: ovvero l’arte ci porta oltre il visibile della figuratività, ci spinge verso una realtà outré, ovvero un quid invisibile, indicibile, irrappresentabile, non umanamente spiegabile. Si tratta di un’eccedenza rispetto al rappresentato, che le varie religioni denominano in modo diverso. Tale dimensione, dunque, analizzato dalla filosofia estetica, è ciò che accomuna tutte le ricerche spirituali. Tale quid è una dimensione individuale e universale, che fa appello ad un sentire comune, ad una dimensione profonda del pathos, che va oltre la logica e la razionalità, che può essere solo partecipato e compartecipato, non spiegato, proprio come avviene per la fede nella religione. Queste opere fanno appello a questa dimensione specifica e chiedono di non essere spiegate, ma vissute, condividendo in tal modo l’esperienza prima vissuta interiormente e poi offerta dall’artista per mezzo dell’opera d’arte. Dunque si tratta di sorpassare lo step della percezione gestita dalla razionalità, per accedere direttamente al quid patetico di cui si carica l’opera d’arte. Questa, attraverso le forme e i colori, offre un punto di partenza, una leva percettiva, da cui si può accedere ad una dimensione immateriale. Dunque l’opera d’arte mostra una parzialità, che suggerisce una totalità umanamente inaccessibile. L’opera d’arte si dà e si sottrae, fa vedere qualcosa e nasconde altro: questo “altro”, attraverso le “open doors” è stato non rappresentato, ma emozionalmente ipostatizzato.
Marcello Silvestri, Bagaglio del pellegrino
Proprio mentre sto scrivendo mi giunge la notizia della morte del Papa. Lui ha detto: “Gli artisti hanno la capacità di sognare nuove visioni del mondo”. Penso che questo evento non sarebbe stato possibile senza il supporto del suo pensiero, della sua visione globale, non sul piano economico, ma sul piano umano; proprio nel Papa Francesco è da individuare il promotore di una visione moderna e proiettata nel futuro di questo Nuovo Umanesimo, che qui è stato non semplicemente teorizzato, ma messo in atto concretamente.
Alla chiusura dell’evento, il pomeriggio del 16 aprile, siamo stati invitati, da parte di mons. Pierpaolo Felicolo, direttore generale Fondazione Migrantes (CEI), a scambiarci un segno di pace: con un gesto semplice, un abbraccio, ci siamo trasmessi emozioni profonde e ci siamo riconosciuti tutti uguali in quanto umani, sic et simpliciter.
Sicuramente ci saranno echi, risvolti, sviluppi, nuovi progetti e riflessioni.